L'autogol dell'altro Matteo




L'estate che volge al termine sarà ricordata per due clamorosi autogol, entrambi realizzati da noti esponenti politici di nome Matteo. Quello di Salvini, tra un mojito e una sorca, è stato abbondantemente analizzato. Quello di Renzi, di cui ieri si è avuto l'annuncio e che, con ogni probabilità, sarà ufficializzato alla Leopolda prossima ventura, merita un approfondimento.
Partiamo dallo status quo: la nascita del governo giallorosso è stata certamente un successo di Matteo Renzi. Proprio lui, che all'indomani delle politiche del 4 marzo 2018 fece nascere il #SenzaDiMe, con l'unico scopo di contrastare l'eventuale alleanza tra PD e M5S, spianando così la strada all'infausta convergenza tra pentastellati e Salvini e alla nascita del peggior governo del Dopoguerra, si è deciso a dare ragione a Bersani con sei anni di ritardo e a favorire la nascita del governo Conte Bis.
I gruppi parlamentari che stanno sostenendo questo neonato esecutivo sono a stragrande maggioranza renziana, perché fu proprio Renzi, candidato ed eletto al Senato nonostante la sua controriforma costituzionale prevedesse l'abolizione della "camera alta", a metterli in lista e a farli eleggere. Molti di loro sanno che, se si fosse andati a votare, Zingaretti non li avrebbe ricandidati, con ogni probabilità. Ragion per cui la fedeltà a Renzi era fuori discussione. Il bischero di Rignano sull'Arno teneva per le gonadi maggioranza e governo, pur essendo minoranza nel suo stesso partito. Le prossime elezioni regionali, inoltre, rappresentavano un altro goloso assist per Renzi: se il PD le perdesse, sarebbe una sconfitta di Zingaretti; se le vincesse, sarebbe il frutto più gustoso di quel capolavoro politico che proprio Renzi, col suo avallo al governo giallorosso, ha reso possibile.

Una situazione ideale, insomma. Un po' come quella di Salvini, che col 17% dei voti comandava maggioranza e governo, prima che il galeotto Papeete generasse uno dei più incredibili esempi di tafazzismo politico che la storia italiana ricordi. Eppure deve esserci qualcosa, in questa estate che sta finendo (come cantavano i Righeira), che fa sbarellare i politici di nome Matteo. Non si spiega altrimenti la decisione di Renzi di far nascere un nuovo movimento politico, alla destra del PD, quindi in un campo molto affollato dove Berlusconi, Toti e il Bischero si contenderebbero le briciole di ciò che Meloni e Salvini lascerebbero sul tavolo. Renzi, con questo gesto folle, fa un incredibile regalo al PD e ai Cinquestelle: al primo dona una nuova credibilità nel campo della sinistra, che negli ultimi anni si era svuotato proprio a causa della presenza di Renzi e delle sue politiche antisociali; ai pentastellati toglie il principale pretesto di avversione nei confronti dei democratici, visto che il "mai col PD" sventolato da Di Maio a destra e a manca era la traduzione fallace del "mai con Renzi", vera ragione sociale della crescita di consensi al MoVimento. Non bisogna dimenticare che i fuoriusciti di LeU potrebbero, adesso, "ritornare in azienda", per dirla con Bersani.

Per quanto concerne i numeri, il nascituro partito di Renzi avrà difficoltà a formare un gruppo alla Camera, finirà mestamente nel gruppo misto al Senato, ha già subito parecchie defezioni eccellenti (una su tutte, quella dell'ex ministro e renziano della prima ora, Luca Lotti), non può vantare nemmeno su un sindaco in tutta la Penisola, ed è accreditato dai sondaggi ad un dalemiano 5%. 
Verrà la Leopolda. Renzi darà il meglio di sé, la stampa ne parlerà come mai prima d'ora e l'interesse per questo nuovo movimento politico crescerà, almeno nel breve. Al governo Conte basterà realizzare un paio di politiche decenti per disinnescare Renzi e la sua corte di miracolati. Il Matteo pericoloso è sempre quello che dal palco di Pontida offre alle flatulenze della folla l'innocenza di una bambina. L'altro Matteo, il bischero fiorentino, è destinato a far la fine di Bertinotti, se gli va di lusso.


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