Rassegna DIECIANNI: "L'odore della notte"


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Avevo diciott'anni o poco più quando vidi per la prima volta "L'odore della notte". La bilancia rilasciava ancora la doppia cifra e i capelli erano più biondi, più lunghi e più mossi. Avevo una ciocca di capelli lunghissima, una sorta di codino che partiva dalla tempia e arrivava sul collo.
Ero un catorcio umano dal punto di vista estetico, una specie di reduce grunge con dieci anni di ritardo sul resto del mondo, un tipo che fantasticava sulla possibilità di diventare scrittore e/o sceneggiatore. Regista no, ho sempre saputo di non esserne capace.

Claudio Caligari, invece, era davvero un grande regista. "L'odore della notte", datato 1998, era il suo secondo film. Il primo, "Amore Tossico", che all'epoca non avevo ancora visto, vide la luce nel 1983. L'ultimo, "Non essere cattivo", che chiude una ideale trilogia della periferia romana, fu realizzato nel 2015. Caligari morì poco dopo averne terminato il montaggio.
Tre film, non uno di più. Caligari è passato alla storia del cinema italiano, anche se non a quella mainstream, con soli tre film. "L'odore della notte" mi colpì allora e mi ha colpito ancor di più ieri notte, quando l'ho rivisto. Le luci di quel film sono un manifesto degli anni Novanta: la notte aveva davvero quei colori in quegli anni. E anche se la storia è ambientata nei primi anni Ottanta, il lungometraggio trasuda del decennio successivo.


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TRAMA

Remo Guerra è un poliziotto romano con il vizio delle rapine. L'entrata in polizia non lo ha allontanato dalla cruda realtà di borgata, dalle sue regole, dai suoi riti, dai suoi personaggi che sembrano essere usciti un po' dalla penna di Pasolini, un po' dalla macchina da scrivere di Enrico Brizzi. Borgata Bastogne, se esistesse, sarebbe il luogo ideale in cui i personaggi vivono e sopravvivono. Remo Guerra rapina solamente esponenti dell'upper class: pariolini e robaccia del genere. Insieme ai sodali Maurizio, Roberto e il Rozzo, che si alternano al suo fianco nelle disperati notti romane, passa presto dagli scippi in strada alle rapine in appartamento. Attici e condomini di lusso diventano il palcoscenico di questa Arancia Meccanica de noantri, di questa lotta di classe spietata e nichilista. I ricchi sono colpevoli di essere ricchi, vanno derubati, percossi, se necessario uccisi. Nessuna pietà per i padroni del mondo, visto che il mondo non ha pietà dei ragazzi di borgata.
C'è anche un timido tentativo di redimersi, di cominciare a campare onestamente: Remo e Roberto comprano un bar, lo ristrutturano e provano a rilanciarlo. Niente da fare, però. Gente come loro, quando non muore di fame, può finire solo in due posti: in galera o al camposanto. 
Tertium non datur.


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PERSONAGGI

Remo Guerra è il capobanda. Poliziotto indisciplinato di stanza a Torino, lascia la polizia a si stabilizza definitivamente nella sua borgata romana, dalla quale in realtà non se n'era mai andato. E' il riferimento per chiunque voglia cominciare a fare un po' di soldi con le rapine. Scaltro, risoluto, persino "buono" se paragonato al violento Rozzo, tenta di abbandonare la via delle rapine e persino di allontanarsi da Roma. Niente da fare, la sua vita ritorna sempre a percorrere le stesse strade.
E' interpretato da un sontuoso Valerio Mastandrea, con una perenne faccia da sonno e un'amarezza magistralmente dipinta sul volto.

Maurizio Leggeri è l'autista della banda. Ama le auto, le donne e la bella vita. Ed è per questo che fa le rapine. L'interprete è Marco Giallini, il "Teribile" di Romanzo Criminale, il cui volto lascia trasparire una malinconia tipica di chi forse poteva, ma non ce l'ha fatta.

Giorgio Tirabassi è Roberto, quello più incasinato: un passato in galera, moglie e figli da mantenere, costante necessità di denaro. Affianca Remo nelle rapine e nel tentativo di cambiare vita, aprendo e gestendo insieme un bar. Ennesimo tentativo naufragato.

Il Rozzo, alias Marco Lorusso, è il più violento della banda. La sua, però, non è una violenza cinica, fredda, calcolata. E' una violenza bastarda, inevitabile, quasi naturale per un figlio di immigrati meridionali cresciuto in una baracca a pane (poco) e rifiuti. E' l'unico del gruppo che non prende mai in considerazione di cambiare vita: il Rozzo è il condannato per eccellenza, il profeta dell'inevitabile destino, l'unico realmente attaccato al mondo reale, da quale pensa solo a "prendere" tutto quello che può ogni volta che può. E' interpretato da Emanuel Bevilacqua: figlio d'arte, il padre e gli zii paterni sono infatti i napoletani in "Accattone" di Pier Paolo Pasolini.

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DIECIANNI è la rassegna cinematografica di questo blog dedicata a film che sono usciti almeno dieci anni fa e visti nuovamente di recente. Recensire un film appena uscito e recensire lo stesso film a distanza di dieci, quindici, venti, cinquanta anni dall'uscita nelle sale può confermare o capovolgere il giudizio sull'opera. La rassegna DIECIANNI si propone proprio di evidenziare questo aspetto.

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